martedì 17 novembre 2009

Fra due mondi

Khu oggi compie 23 anni. Intelligente, idee chiare sulla vita, indipendente, parla molto bene inglese, fra poco partirà per la Francia dove verrà ospitata per due mesi da una famiglia di turisti con cui ha fatto amicizia. Ha già viaggiato in Vietnam ed è andata in moto nel nord del Laos, dove vivono altre persone della sua etnia, quella H’mong. L’inglese lo ha imparato da sola, con il contatto con i turisti ed è sicuramente molto più brava dei vietnamiti che lo imparano a scuola e che hanno una pronuncia difficilmente comprensibile.
Mentre facciamo colazione riceve un sms sul suo cellulare… sono gli auguri di una coppia di turisti australiani. Mi chiede di leggerle il messaggio e di scrivere la risposta. E’ una delle tante contraddizioni di questo piccolo mondo… Khu, vestita di tutto punto con gli abiti tradizionali, ha cellulare ed e-mail ma ha bisogno di qualcuno per poterli utilizzare. Scopro che, pur essendo così fiera di mostrarci gli edifici scolastici gialli sempre più numerosi nei villaggi, lei, a scuola, ci è andata solo per due mesi. Dunque non sa leggere e scrivere neppure in vietnamita. E’ un peccato le dico, le persone possono imbrogliarti più facilmente, ed è più difficile far valere i tuoi diritti. Ma forse è gente che non è molto abituata ad avere diritti, visto che i Vietnamiti li chiamano in modo dispregiativo “moi”, “selvaggi” e lei, dice, quando va ad Hanoi o in altre parti del Vietnam, lascia gli abiti tradizionali per jeans e maglietta. Si schermisce quando le chiedo perché.
Sicuramente qualche motivo di risentimento contro gli H’mong i vietnamiti lo hanno, visto che sono stati “utilizzati” dalla CIA nella “guerra segreta” in Laos: una guerriglia per cercare di bloccare i rifornimenti dal Vietnam del nord a quello del sud lungo il sentiero di Ho Chi Minh. Persa la guerra gli americani se ne sono andati, gli H’Mong sono rimasti a subire le rappresaglie, i più fortunati sono riusciti a scappare in Thailandia per vivere in un campo profughi o per cercare di espatriare.

Sono fortunata ad avere lei come guida nel piccolo trekking di due giorni che porta i turisti a camminare di villaggio in villaggio e a passare una notte presso una famiglia… è la mia possibilità per capire qualcosa da questa esperienza nel nord del Vietnam e, nello stesso tempo, è uno scambio di informazioni fra due mondi che vogliono sapere di più l’uno dell’altro.
Arrivare fin qui e pensare di trovare un mondo in cui la cultura delle minoranze etniche sia “intatta” è decisamente anacronistico e non può che portare delusione. Le cose stanno cambiando velocemente e il turismo, con i suoi pro e contro, è un potente acceleratore del processo.
Le donne sembrano essere quelle che più tengono il passo. Sono loro che hanno imparato l’inglese e si occupano di trarre beneficio dal turismo. Oltre alle attività di vendita sono piacevolmente colpita dal fatto che tutte le guide per i trekking o le escursioni di una giornata fra i villaggi di montagna siano ragazze locali.
Gli uomini, mi dice Khu, sono timidi, preferiscono occuparsi dei bufali e stare sulle montagne, non sanno l’inglese.
Via via che si cammina fra le risaie terrazzate e Khu ci mostra le attività da “programma” (coltivazione della pianta da cui estraggono il colore indaco, tintura dei tessuti con questo succo, grappe medicinali con dentro serpenti, gechi e altri simpatici animaletti, ricamo, sistemi di canalizzazione per portare l’acqua di terrazza in terrazza, allevamento degli animali, ecc.) il nostro piccolo gruppo internazionale si affiata e, in modo leggero, con scambi di battute, si affrontano anche altri temi.


La sera ci raccogliamo intorno al focolare, cuciniamo insieme, imparando a fare gli involtini primavera. Dopo cena giochiamo a carte, Khu ci insegna i loro giochi, impara i nostri. Le chiediamo di un ciondolo che porta al collo a forma di cuoricino che, inavvertitamente, le è sfuggito dai vestiti… ha un boyfriend? Un occidentale magari? No, no, niente boyfriend, molte sue amiche sono già sposate da tempo e hanno figli, lei è già considerata vecchia, ma prima vuole essere libera di fare altre esperienze. Dice che oggi le ragazze hanno la possibilità di scegliere il marito… scherzando insistiamo… magari un marito occidentale? Non nega di esserne in qualche modo affascinata ma no, è poco pratico, uno dei due si dovrebbe trasferire e poi… cosa farebbe? Come potrebbe essere felice in un mondo diverso? E poi qui la famiglia del marito deve regalare alla sposa delle terre da coltivare… ed è bello andare insieme a lavorare nella risaia. Mi colpisce la poesia di quest’immagine.

Ripenso a tutto quello che ci si è detti la mattina presto, seduta sotto la tettoia della casa da cui ammiro la valle sottostante. Gli uomini stanno smantellando il bagno dove ci siamo lavati ieri sera. L’impiantito di fusti di bambù attraverso cui scorreva l’acqua, riscaldata sul fuoco a legna della cucina, che mi versavo addosso con un secchiellino, verrà sostituito da uno di cemento, molto più bello, afferma sicura Khu. A me sembrava più bello quello in bambù, vedo fuggire delle piccole rane via via che gli uomini procedono con il lavoro. Sotto il cemento non potranno essercene. Ma, forse, è una bellezza che può apprezzare chi, a casa, un bagno con tutti i comforts già ce l'ha.



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