sabato 18 giugno 2011

Un tubetto strizzato e altre tracce


Un tubetto di colore strizzato, incavato soprattutto nel centro, dove la pressione è stata più forte, ripetuta; il metallo un po’ ossidato, l’etichetta che ne dovrebbe indicare la tinta ricoperta da colori incrostati, che conservano tracce di impronte digitali.
Intorno, sul bancone, pennelli sporchi, piatti e ciotole sbreccate, un toro d’argilla che mi ricorda qualcosa... forse una delle ceramiche di Picasso? Su un mobiletto vicino un mappamondo, così simile a quello fortemente richiesto e pazientemente atteso fino a Natale, da bambina. Uno di quelli che si illuminavano con la lampadina, dall’interno. E mi faceva sognare paesaggi, e genti, e avventure dietro ognuna di quelle forme irregolari e colorate, con i nomi  scritto in nero e una stellina ad indicarne le capitali, che mandavo a memoria.
Nell’ampia stanza, dal soffitto alto e illuminata  da grandi vetrate, sono assembrati tavoli e mobiletti, sui quali sono appoggiati colori, pennelli, contenitori, stoviglie, e un’infinità di altri oggetti ancora. Numerosi cavalletti sostengono delle tele dipinte. Il pavimento di cotto poroso mostra tracce di colori rovesciati da tempo. Sulla ringhiera del soppalco due tute da lavoro da uomo, di quelle di spessa tela blu.  Un disordine “ordinato”, “predisposto”:  tutti i quadri sono a favore dello sguardo del visitatore che può solo osservare dall’ingresso... una corda tesa e gli occhi della custode che sento sulle mia nuca mi trattengono  dall’addentrarmi nell’atelier, dal mettermi a toccare ora questo, ora quello, per rendere un po’ di vita ad oggetti che non sembrano più possederne, sospesi nel tempo come in attesa di ritrovare una mano che li sfiori, li prenda, li usi.
Mi viene in mente una nave, alla scia che lascia dietro di sé... l’immagine mi mette un po’ di tristezza; penso alla scia di oggetti che lasciamo nel mondo dopo che ne siamo salpati, a come un tubetto strizzato possa sopravvivere ancora a lungo all’artista che, magari distrattamente, lo ha usato.
Lascio l’atelier moderno e salgo lungo il sentiero che porta ad una casa antica, poco più in alto. Si sta bene qui. L’ombra è fresca, la brezza muove i profumi mediterranei sotto gli alti pini marittimi, si vede il mare poco lontano e una distesa di case, che forse erano meno numerose quando Joan e Pilar vivevano qui. C’è un senso di pace.
Anche le stanze dagli spessi muri sono fresche e ombrose. Spoglie. Sui muri imbiancati a calce disegni in nero, figure in cui si indovinano quelle dei quadri appesi al Museo. Pavimenti schizzati di colore. Appese con le puntine  sulle porte di legno, delle cartoline. Alcune di vedute, delle Baleari, delle Canarie. Altre di immagini che forse erano fonte d’ispirazione per l’artista... una scultura che sembra africana o dell’Oceania o.. chissà! ... un affresco che mi ricorda quelli delle chiese rupestri della Cappadocia. Piccoli dettagli di quotidianità, piccoli pezzi di vita.

Sono questi dettagli, queste tracce, le impressioni  più incisive che mi rimangono della visita alla Fondacion Pilar e Joan Mirò a Palma de Mallorca.  Un senso di “presenza” che non riesco invece a percepire nei quadri appesi nel museo, nelle sculture esposte in giardino. 

Mi dico che bisognerebbe andare a visitare gli artisti “viventi”,  mentre sono all’opera, e possono parlarci di quello che creano, godere della passione che li spinge a farlo, farsi contagiare; portarci il più spesso possibile i bambini... che esperienza dell’arte diversa ne emergerebbe! Il processo creativo che si fa materia, immagine, suono, parola, e che può essere condiviso con le persone che ne sono artefici, non solo con gli oggetti che restano di loro. E scoprirsi artisti... :)))

venerdì 11 marzo 2011

Definizioni di patria

Genet: "La mia patria sono due o tre conoscenti".
Camus: "Sì, una patria ce l'ho: la lingua francese".
Il tuareg: "La mia patria è dove piove".

Lapidarium, Ryszard Kapuściński
 

lunedì 21 febbraio 2011

Perforazione dei muri d'idee...

"I viaggi li vedrei di due tipi fondamentali. Uno, quelli all’esterno dei grandi muri d’idee. Due, quelli con perforazione o salto dei muri d’idee.. i viaggi del secondo tipo portano sempre ad esperienze mentali e spirituali stimolanti, piene di suggestione (almeno per chi le vuole intendere). In un viaggio del secondo tipo potrà capitare che tu resti sotto lo stesso cielo e nello stesso clima di casa (come avviene a chi passa da Salonicco ad Istanbul, o da Lahore ad Agra), può darsi che la gente non cambi notevolmente d’aspetto fisico (come scopre chi naviga, per esempio, da Trapani a Tunisi), può darsi che i sistemi di governo siano simili, può anche avvenire di parlare la medesima lingua (come nota chi vola da Mosca a Samarcanda, o chi segue una carovana da Skardu a Leh), eppure ben presto noterai qualcosa nell’aria che ti farà concludere d’aver varcato uno di quei confini tra gli uomini oltre il quale cessano le variazioni quantitative e s’instaura un salto qualitativo. Prova allora ad esaminare più fondo le abitudini nella vita d’ogni giorno, le istituzioni tradizionali del diritto pubblico e privato, le relazioni delle persone tra di loro, i fenomeni sociologici che riguardano la famiglia ed il lavoro, i nomi delle persone, le manifestazioni dell’arte, quelle della religione. Ti troverai a salire pian piano verso una serie di concezioni nuove e diverse riguardo a tutto ciò ch’è importante nella vita umana; dal diritto all’amore, dalla cosmologia alla psicologia, dalla storia alle arti, dalla cucina alla musica, dal gioco alla guerra. In altre parole, nelle menti e negli animi intorno a te vive un nuovo modo di considerare l’universo."


Paropàmiso – Fosco Maraini