domenica 30 agosto 2009

Il Dalai Lama a scuola!

Nuvole basse, cielo plumbeo.
Il vento forte alza folate impetuose di polvere.
La passerella di stoffa non vuole saperne di rimanere fissata, nonostante i ripetuti tentativi degli insegnanti della scuola... manca poco all'arrivo del Dalai Lama alla "Lamdon Model High School" di Pibiting, un villaggio vicino a Padum.
L'edificio è fatto a ferro di cavallo, il cortile dove aspettano da ore i ragazzi (femmine da una parte, maschi dall'altra... composti e pazienti!) è protetto dal vento. Sopra il palco dove siederà il Dalai Lama due grandi paracadute arancio danno riparo e riscaldano la luce.
Attesa, parecchia.
La solita carovana di auto annuncia l'arrivo di Sua Santità.
Eccolo, come sempre sorridente, affabile.
Il discorso è in tibetano tradotto in... ladakho! :) Poco male, trovo che, con persone così speciali, basti stare alla loro presenza per sentirsi bene, in pace.
Il momento che sento più toccante è quando i bambini intonano un canto dolcissimo. Sono a mani giunte... tutti sono a mani giunte, molti tengono gli occhi chiusi.
Poi il momento delle foto con gli insegnanti, una di loro corre a prendere la sua bambina per non farle perdere questa grande occasione... si era addormentata, sembrava un bambolotto... ora si sveglia di colpo, è un po' spaventata.
Il Dalai Lama se ne va... molte persone vanno a strofinare la khata o il rosario sulla sua sedia...
Sento forte il contrasto fra la sua grande umanità, cordialità che me lo fa percepire come una persona estremamente saggia e molto alla mano e il fatto che qui sia considerato un'impersonificazione divina.
Per chi volesse approfondire il progetto di sostegno alla scuola consiglio di visitare il sito:
Su http://www.youtube.com/watch?v=inYSVKWsuto trovate il video del canto dei bambini realizzato da Marco Vasta.

Humor sulle strade himalayane...

Sembrano delle pietre miliari, ma sono di cemento dipinto di giallo, le scritte in nero. Si trovano ai bordi delle strade e riportano frasi che invitano i guidatori alla prudenza e all'attenzione.... le trovo buffe, sorrido fra me e me all'idea di un ufficio di persone che si spremono le meningi per escogitarle.
Le riporto così come le ho lette, in inglese, perché spesso c'è il tentativo di una rima...
"The road is illy,
don't drive silly."
"I love you darling,
but not so fast."
"Don't be gama
in the land of lama."
"Speed thrills
but kills."
"If you don't slow down
you go down."
"Be Mr. late
than late Mr."
"Drive is risky
after whisky."

lunedì 24 agosto 2009

Strade

C'è chi dice fra quattro, chi fra otto, chi fra dieci anni... quel che è certo è che la strada per accedere più rapidamente allo Zanskar e, da qui, procedere verso Manali, è in costruzione e sta avanzando.
Attualmente il percorso per arrivare in Zankar è lungo ed accidentato... io ho impiegato quattro giorni, qualcuno ce la fa anche in due, su strade sterrate e sconnesse che spesso paiono più mulattiere che altro. Percorso che si fa solo d'estate, d'inverno lo Zanskar è praticamente isolato, a parte un trekking di una settimana sul fiume ghiacciato.
Chiedo a Sharif, l'autista di questo viaggio, cosa ne pensa delle nuove strade. Mi aspetto una risposta entusiasta, invece no. Dice che porterà confusione in Zanskar, Padum si ingrandirà e verranno meno turisti... come, dico io, meno turisti? Se sarà più facile arrivarci ne verranno di più...
No, mi risponde, i turisti in Zanskar vengono per camminare, se ci sono le strade niente più trekking appassionanti.
Penso che vorrei ritornare qui per fare un trekking, prima dell'arrivo delle strade e di un turismo differente...

Insegnamenti del Dalai Lama in Zanskar

Tre giorni in cui a Padum, capoluogo dello Zanskar, si sono riversate più persone di quanto siano normalmente gli abitanti di tutta la regione. I villaggi sono completamente deserti, solo qualche capra si aggira sconcertata per i viottoli. I monasteri sono serrati, disabitati. Tutti sono là, ad accogliere e seguire gli insegnamenti di colui che è considerato la reincarnazione di Avalokitesvara (Chenrezig in tibetano), il Bodhisattva che rappresenta la compassione del Buddha. Mi aggiro fra la folla, c'è un'energia calma e positiva, allegra e rilassata. E' per me stupore continuo... la ricchezza dei perak (copricapi tradizionali delle donne ladakhe... due grandi orecchie di pelliccia e una lunga stola impreziosita da grandi turchesi, coralli e monete che scende dalla fronte a meta' schiena), la varietà dei gioielli e degli abbigliamenti. Ogni tanto vado a fare un giro nella zona della grande cucina all'aperto, a vedere cosa "bolle in pentola". Il fumo della legna e dello sterco viene sospinto dal vento teso, negli enormi pentoloni ribolle il the al burro (tipico del Ladakh e del Tibet, gli ingredienti sono acqua, the, burro e sale). Appena pronto viene versato nei secchi e, da qui, nelle grandi teiere che gli incaricati che fanno la spola portano fra la gente. Non ho idea di quante persone ci siano, sicuramente siamo nell'ordine delle diverse migliaia. Eppure per tutti ci sarà una tazza di the e una focaccetta d'orzo che scricchiola sotto i denti, dentro c'è anche un po' della sabbia che qui si insinua dappertutto.
L'ultimo giorno una novità... nei pentoloni è stato cotto il riso, i monaci ora lo rimestano con mani e bastoni a terra, su dei grandi teloni: stanno amalgamando al riso burro, albicocche secche e mandorle.
Ritorno fra la folla... sul palco ai piedi del Dalai Lama i lama più importanti e i cosiddetti "vip"... a terra, nelle immediate vicinanze, gli "sponsor", i monaci da una parte e le monache dall'altra, il settore per gli stranieri dove è possibile ascoltare la traduzione in inglese. Oltre, ovunque, la folla "normale", quella che più mi attira.
Intere famiglie... ci sono proprio tutti, dai piccolissimi allattati al seno o addormentati nella sacca sul dorso delle madri, agli anzianissimi, volti di cuoio inciso da mille rughe, il sorriso sdentato.
Ci sono ombrelli colorati per proteggersi dal sole e dalla polvere portata dal vento. Ci sono contenitori per il cibo e termos di the con cui ristorarsi.
Si alternano momenti di raccoglimento e preghiera ad altri più rilassati, di chiacchere e risate. E' tutto molto naturale, come se si stesse ascoltando qualcosa di già noto, magari reminescenze di vite passate...
Ovviamente, con questo mio girovagare, non ho seguito gli insegnamenti che in modo molto approssimativo... mi è arrivata, nel vento, questa frase: "Happiness comes from a good state of mind"... "La felicità proviene da un buon stato mentale"... facile, no? ;-)))

Fiori e colori

Fiori selvatici, piccoli, di montagna.
C'è dell'azzurro, del giallo.
Il bianco argentato di distese di stelle alpine dove pascolano yak e dzo (l'incrocio fra yak e mucca).
Fiori grandi, coltivati in ogni casa, in ogni monastero. Nei giardini, alternati, mischiati agli ortaggi. Ma basta anche un angolo in un muricciolo o una vecchia latta da usare come vaso e porre sul davanzale per creare un miracolo di colore in un mondo che altrimenti sarebbe solo sui toni minerali. Ho chiesto come fosse il Ladakh d'inverno. Mi hanno risposto: non c'è colore. Non c'è il verde di campi d'orzo e di grano, delle foglie di salici e pioppi. Non c'è l'arancio intenso delle albicocche mature, il rosso timido delle piccole mele, né l'arcobaleno dei fiori coltivati.
Arrivano allora in soccorso i colori brillanti ed intensi dei decori all'interno dei monasteri e delle case, quelli dei turchesi e dei coralli dei gioielli, degli abiti vinaccia ed arancio dei monaci, le bandierine di preghiera che alternano i cinque colori (giallo, rosso, verde, blu, bianco) che sventolano ovunque. Vibrazioni di pensieri positivi e di colore...

Zanskar

Ciao a tutte e tutti... sono appena rientrata dallo Zanskar (una regione del Ladakh) e ora mi trovo a Leh. E' stata un'esperienza molto bella, ricca d'incontri e di paesaggi bellissimi, maestosi. I post che seguiranno saranno delle piccole "pillole" di quanto ho vissuto :)

mercoledì 12 agosto 2009

Tibet Chidren Village

Casualmente incontro delle signore di Lecco.
Fanno parte di un'associazione che sostiene una ventina di ragazzi della scuola, che mi invitano a visitare. La scuola si trova nel villaggio di Choglamsar, il villaggio dei rifugiati tibetani dove sorge anche la residenza del Dalai Lama, ad una decina di chilometri da Leh. La scuola occupa un'area molto estesa ed ospita, in modo residenziale, circa 1200 ragazzi, per lo più orfani di uno o entrambi i genitori, o figli di nomadi o di famiglie indigenti.
Sono rimasta molto colpita dall'organizzazione in piccoli nuclei. Circa venti bambini di età diverse vivono in una stessa casetta, i più grandi si occupano dei più piccoli, ma ognuno di loro ha un compito in modo da far funzionare la loro "famiglia", coordinata da una "mamma" che si occupa anche della preparazione del cibo per tutti. Le piccole stanze si affacciano su un salone centrale che dispone anche di un giardino d'inverno. Intorno un piccolo appezzamento di terreno di cui si occupano i bambini stessi. Minuscole oasi di verde nel deserto in cui far crescere fiori e verdure e giocare all'ombra di piccoli alberi.
La sera sono loro ospite in un ristorante di Leh: le signore hanno invitato i bambini dell'associazione a cena.. un'occasione per uscire dalla scuola!
I bambini aspettano che tutti siano serviti, poi alzano i piatti e cantano una canzone molto dolce.
Al termine della cena sistemano piatti e posate in modo che i camerieri siano facilitati nel loro compiti.
Una bella serata... la mattina il gruppo era partito per Delhi e anch'io mi sentivo un po' orfana...


Partenza per un'alta India..

Il 10 agosto il gruppo è partito per Delhi. Li aspetta la visita del Taj Mahal ad Agra e dei monumenti di Delhi.
Qui a Leh la loro mancanza...

Oracolo...

... anzi... oracolessa! Indovina, guaritrice, sciamana.
Nel pomeriggio del nove agosto una full immersion nella cultura popolare ladakha.
Lamaji, la nostra guida, ci conduce fra le stradine di Leh, entriamo nel cortile di una casa, ci invitano ad entrare in una stanzetta spoglia, a parte un altarino.
Entrano una signora un po' grossa e la sua aiutante.
Due casalinghe ladakhe, niente di più lontano dall'aurea di mistero che ci si immaginerebbe.
Preparano l'altarino: ciotole di riso, farina d'orzo, acqua, burro. Viene accesa una lampada.
La signora grossa inizia a mettersi i paramenti, aiutata dall'altra donna.
Esce. Rientra con un balzo, lanciando dei versi.
Inginocchiata davanti all'altarino incomincia a recitare mantra con una voce in falsetto... in una mano il tamburello sciamanico, nell'altra la campana e il dorje.
Si esprime in un ladakho misto ad un dialetto tibetano, ci dirà poi Lamaji.
E' "posseduta" dalla divinità.
E' ora il momento di rivolgerle delle domande. Lo facciamo tutti, uno per volta. Ci vengono messe delle khata sulle spalle. Sembra che le domande più adatte a ricevere una risposta soddisfacente siano quelle piu "pratiche" su cosa fare o non fare nel futuro.
Il momento più forte è quello della "guarigione": la sciamana succhia la malattia dalla pancia di una donna, sputando in un secchiello una copiosa saliva.
Il rito termina. La donna ritorna ad essere la placida casalinga, non ricorda quanto successo.
Ce ne andiamo, nel corridoio altre persone aspettano di essere ricevute.
E' stato sicuramente interessante ma siamo un po' perplessi...

Dalai Lama!

Il nove agosto è arrivato in Ladakh il Dalai Lama, "Oceano di saggezza".
Ci siamo mischiati alla folla che aspettava di vederlo passare nel suo percorso dall'aeroporto alla residenza in Choglamsar, il villaggio di rifugiati tibetani.
Folla composta, silenziosa, in preghiera, vestita degli abiti migliori.
Dai piu' piccoli agli anziani tutti tenevano fra le mani una bianca khata (la tradizionale sciarpa bianca cerimoniale, simboleggiante purezza, compassione, buona volontà e buon auspicio). Qualcuno aveva anche fiori, rosari, mulini di preghiera, incensi.
Ogni folla ha una propria carica energetica... qui la sensazione era di pace e serenità.
Un'attesa in un clima piacevole e positivo.
E, all'improvviso, eccolo!
E' su una jeep di quelle comuni qui.
Incontriamo il suo sguardo.
Il suo viso, il suo sguardo, il suo sorriso si imprimono in noi, un ricordo più pregnante ed indimenticabile di qualsiasi fotografia.
Siamo commossi.
La folla, sempre compostamente, si disperde.
Noi con essa, grati del momento che ci è stato donato.

domenica 9 agosto 2009

Sull'altopiano 3.... si scende!

Buffo, per scendere dobbiamo salire, salire e salire ancora… dopo aver imboccato la Manali-Leh road arriviamo al Taklang La (la significa passo): 5260 metri.
Strada instabile, in perenne rifacimento per le numerose frane.
Polvere, buche, passaggi al limite del precipizio.
A volte si sosta, aspettando che ruspe e, soprattutto, persone, spostino terra e pietre.
Già, le persone.
Sembra di essere in un girone infernale.. persone che arrivano dalle parti più povere dell’India per stare quassù, vestite in modo inadeguato per il clima, a spostare, spaccare pietre, a puntellare queste enormi montagne che si sgretolano.
Tanta, tanta fatica... immagino per poco, poco denaro.
E poi incontriamo anche chi la fatica la sta cercando... diversi ciclisti occidentali, carichi di borse mischiano nei loro polmoni il poco ossigeno e il tanto gas di scarico dei coloratissimi camion indiani.
La loro appare come fatica immane, non c’è energia per alzare lo sguardo, per accennare un saluto.
Il picconatore indiano, almeno, si dà la possibilità di lanciarci un saluto, un sorriso, uno sventolio di mano.
Mi chiedo perché lo faccia... con la jeep stiamo passando sul suo lavoro appena compiuto, lo inondiamo di polvere e gas.
Osservo che c’è sincerità nel suo gesto, nessuna aspettativa di altra ricompensa che il ricambio del saluto.
Lo faccio.
Il sorriso si allarga.
Forse il sorriso che si allarga mi dice “Sono qui, ho un posto nel mondo. Esisto e sto facendo qualcosa d’importante”.
Hai ragione, stai facendo qualcosa d’importante.
Senza di te, senza il piccone che tieni fra le mani questo passaggio fra le nuvole non esisterebbe.
Forse il sorriso si allarga e basta.
O forse il sorriso non si allarga, è solo la mia immaginazione che galoppa in quest’aria sottile.

Sull'altopiano 2.... Tso Khar...

... ancora piste, ancora polvere.
Di nuovo un passo, di poco inferiore ai 5000 metri... di soli sette metri, dicono i nostri “misuratori”.
Tutti insieme appendiamo la nostra “cordata” di bandierine di preghiera, giriamo intorno allo stupa (in senso orario!!!) e con Lamaji costruiamo la nostra pila di pietre, rappresenta un mandala.
Ridiamo, mentre posizioniamo una pietra sull’altra, ricercando equilibri sempre piu’ azzardati.
Poi si scende, anche se di poco, siamo sui 4600 metri.
Il campo tendato che ci accoglie allo Tso Khar è isolato, un nulla nella vastità di questi spazi.
Come al solito i ragazzi indiani che gestiscono la cucina sono dei veri maghi. Dai loro fornelli da campo arriva un piatto via l’altro, tutti deliziosi... li gustiamo a lume di candela.
Sono le otto e un quarto quando usciamo.
Fa freddo, aspettiamo il sorgere della luna dietro il profilo delle montagne.
Prima è solo chiarore, poi, rapidissima, sale e sale... il suo tondo è quasi perfetto... solo un accenno di fase calante.
Spontaneo l’applauso allo spettacolo, a questo miracolo di bellezza.
E’ così luminosa la luna, qui. Si fatica a fissarla a lungo.... cerchiamo nel suo disco l’immagine della lepre.
Si va a letto, le tende sbattono per il gran vento.
Mi addormento con l’immagine delle nostre bandierine, che sventolano colorate in mezzo a mille altre.... lassù, sugli alti valichi.

sabato 8 agosto 2009

Sull'altopiano 1 .... Tso Moriri...

… piste, polvere. A 4500 metri laghi color cobalto, incastonati fra montagne arrotondate, rosse, ocra, brulle.
Gioco di luci allo scorrere delle nubi, vento teso.
A Tso Moriri (tso significa lago) la fortuna di assistere, nel monastero del villaggio, ad una cerimonia dedicate ai nomadi, scesi dagli accampamenti delle valli vicine.
Visi di cuoio, monili colorati, capelli lunghi.. ricordano i nativi americani.
Vita dura, la loro. Le nere tende di pelo di yak non sembrano così confortevoli per affrontare i rigidissimi inverni.
Durante la cerimonia l’atmosfera è rilassata. C’è chi arriva e si prostra, chi si prostra e se ne va. I bambini lanciano strilletti, gattonano, vengono vezzeggiati e allattati.
I più anziani fanno roteare con una mano il mulino di preghiera, con l’altra sgranano il rosario recitando i mantra.
Già… i mantra, flusso sonoro, voci che vanno all’unisono, si intrecciano, si alzano, si abbassano… ritmo di tamburo, a volte martellante, altre lento, noncurante… intervengono i piatti, cimbali, trombe.
Passa qualcuno ad offrire the al burro e biscotti.
C’è anche la possibilità di due chiacchere con i vicini.
Come il simpatico signore tibetano che mi siede a fianco.
Chiede da dove vengo, mi insegna qualche parola nella sua lingua.
E’ arrivato in Ladakh a due anni, portato dai genitori in fuga dalla repressione cinese.
E’ un rifugiato.
Significa rinnovare ogni sei mesi il permesso per rimanere in India.
Significa avere nel cuore la speranza del ritorno.

giovedì 6 agosto 2009

Lamayuru.. Alchi... e molto altro!

Il gruppo è appena rientrato dopo tre giorni di vagabondaggi fra monasteri, cerimonie, paesaggi mozzafiato e yak, accompagnati dalla nostra brava e simpatica guida Lamaji!
Volti radiosi e sguardi brillanti quelli accolti ieri a Leh... lascio loro la parola...

domenica 2 agosto 2009

studio e famiglia...

Ieri la giornata è trascorsa interamente a Sabu, un villaggio rurale a qualche chilometro da Leh.. un'oasi di verde, acque che scorrono cristalline nei canali che, sapientemente gestiti, permettono la vita in questo deserto d'alta quota. Di fronte la vista dello Stok Kangri, 6123 metri, la cima più elevata del Ladakh.
Tanti i ricordi che porteremo con noi... l'incontro, presso il monastero locale, con uno studioso di buddhismo a cui avevamo la possibilità di porre ogni tipo di domanda... l'ospitalità attenta e sorridente di una famiglia ladakha nella loro splendida casa tradizionale... e che dire dei loro bambini, allegri e curiosi? Non potro' mai dimenticare il loro calore, gli insegnamenti vicendevoli di lingua ladakha e italiana, la lezione di yoga improvvisata con loro, "condita" da tante risate...