Sono sola fra le rovine di uno dei numerosi templi di Angkor. La vegetazione lo ha fatto proprio, alberi enormi sono cresciuti sopra e dentro i muri, rompendoli e, nello stesso tempo, contenendone le pietre con le loro radici serpentiformi. L’impressione è che, dal connubio umano e vegetale, nel corso dei secoli sia nata una nuova architettura. L’effetto è affascinante.
Ad un tratto mi trovo in una radura, sia di rovine sia di alberi… c’è una strana luce verde che emana dalle antiche pietre coperte di muschi e licheni e dal riverbero dell’ultima luce sulla copertura vegetale…uno di quegli attimi perfetti.
Angkor era il cuore dell’immenso impero Khmer. Sviluppatosi fra il IX e il XIII sec. d.C. al suo apice si estendeva dal Vietnam alla Birmania. Incredibili opere idrauliche per regolare e immagazzinare le acque del monsone permisero di incrementare la produzione agricola e dunque la popolazione e le risorse necessarie a finanziare la costruzione dei templi.
In un articolo apparso qualche mese fa sul National Geographic lessi che l’area della città era pari a quella della Roma attuale e la sua popolazione urbana tanto numerosa da la metropoli del tempo. Ora non rimangono che i templi, costruiti in pietra.
Ogni tempio si rifletteva (e in alcuni casi ancora è così) in un bacino artificiale che aveva lo scopo pratico di garantire una riserva idrica alla città e alle coltivazioni e la funzione simbolica di rappresentare l’oceano primevo. Il risultato era una scacchiera liquida, punteggiata da templi, edifici di legno, capanne di bambù, ravvivata da mercati, traffico di carri e canoe, popolata da uomini ed animali.
Iniziò poi il tempo del declino e dell’abbandono, con il riappropriarsi dei propri spazi da parte della natura. Solo Angkor Wat, diventato un monastero buddhista, continuò ad essere frequentato. A proposito delle cause del declino di Angkor sono state avanzate diverse ipotesi… la nascita del regno Thai e le sue incursioni in Cambogia, un cambiamento climatico, la deforestazione delle colline a monte della città… chissà.
Certo è che, ogni qualvolta il passato ci consegna le vestigia di una civiltà scomparsa, non è possibile non subirne il fascino magnetico.
...sono quegli attimi perfetti in cui potresti piangere di gioia e stupore :-)
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