venerdì 23 ottobre 2009

Angkor Wat

Angkor Wat è il più grande, il meglio conservato, il più famoso e, sicuramente, il più visitato dei templi di Angkor.
Il primo impatto, la mattina molto presto per assistere all’alba, mi lascia perplessa. La maestosità del complesso, che sorge su un’isola quadrata in un bacino artificiale quadrato immenso, la magia delle tenue alba tropicale nella giungla che si risveglia, sono in qualche modo sminuiti e desacralizzati dalla moltitudine di turisti (di cui ovviamente anch’io ne sono parte), venditori di souvenir e caffè, affitta sedie per godere dello spettacolo comodamente seduti in prima fila.
Non credo sia la quantità delle persone a banalizzare un’esperienza del genere, ma l’attitudine. La folla, enorme ma “accordata” su un particolare evento può, anzi, creare un’energia particolare e forte, molto più forte della somma di quella dei singoli individui. Qui avverto principalmente la fruizione di un luogo famoso, da “non mancare” nel tour. Rimarrà qualche foto, magari accompagnata dal ricordo di quanto il caffè servito dall’affitta-sedie “James Bond” fosse schifoso.

Riprovo ad accostarmi ad Angkor Wat un paio di giorni più tardi, dopo essermi dedicata ai templi meno frequentati per entrare in sintonia con il luogo. Decido di andarci nel primo pomeriggio, dovrebbe essere un momento più tranquillo, e di cercare di viverlo come un enorme mandala tridimensionale.
Inizio a percorrerne le gallerie esterne, ammirandone i bassorilievi che raffigurano alcune delle scene principali delle epopee induiste, per esempio il Mahabharata e il Ramayana aventi come protagonisti le incarnazioni di Vishnu, la divinità induista in cui il re che fece erigere il monumento si identificava. Sono di grande finezza, penso alla mole di lavoro necessaria per portarli a termine.
Passo dopo passo, galleria dopo galleria, livello dopo livello, in un percorso concentrico ed ascensionale, arrivo al centro del complesso: le cinque torri che rappresentano i picchi del Monte Meru (il monte sacro a induisti, buddhisti e jainisti in quanto considerato il centro degli universi fisici, metafisici e spirituali).
Percorrere in questo modo il monumento può diventare una meditazione camminata, una forma di purificazione mentale in cui i pensieri si acquietano e si può lasciare che una forma diversa di percezione e comprensione si possa aprire… come il fiore di loto che mi viene regalato da una bambina che incontro.

Nel percorso a ritroso, dal centro alla periferia, assisto alla consultazione di un indovino da parte di una famiglia cambogiana. E’ il turno ora di una ragazzina… l’indovino le pone sulla fronte un mazzetto di testi scritti con inchiostro nero su foglie di palma. Poi ne sceglie uno e lo legge alla ragazzina. Infine, borbottando qualcosa che immagino essere preghiere e benedizioni, le allaccia un filo rosso intorno ad un polso. Riaffiorano le immagini lette nel famoso libro di Tiziano Terzani, “Un indovino mi disse”…

 Lascio Angkor Wat percorrendo il lungo ponte di pietra che lo collega alla “terra ferma”. Mi soffermo a guardare i bambini che giocano in acqua, sfidandosi in tuffi acrobatici dalla riva a gradoni. Sullo sfondo il tempio enigmatico nella sua presenza attraverso i secoli e le vicende umane.


Angkor Wat fu costruito fra il 1113 e il 1150 dal re Suryavarman II. A quel tempo era chiamato “Vrah Vishnuloka”, “il sacro domicilio di Vishnu, la divinità induista in cui il Re-Dio si identificava.
Dopo la sua morte al re venne dato il nome di “Paramavishnuloka”, “colui che è entrato nel paradiso del supremo Vishnu” e il tempio divenne il suo mausoleo. Appunto perché monumento funerario gli studiosi affermano che andrebbe percorso in senso anti-orario, contrariamente a quanto avviene normalmente nei templi induisti.
Il nome attuale, Angkor Wat, significa “la città reale (che è) un monastero”. Infatti, dopo la rivoluzione religiosa voluta dal re Jayavarman VII nel XIII secolo, l’impero Khmer divenne buddhista e Angkor Wat fu trasformato da santuario Vishnuita ad un “wat” buddhista, cioè, in una termine di origine thai, in un “monastero”.
Il complesso sorge su una superficie di 2 kmq, circondato dalle acque di un bacino artificiale di almeno 200 metri di larghezza su ogni lato. Gli spazi non edificati un tempo erano occupati da edifici di legno… si pensa che almeno 20.000 persone vivessero qui per prendersi cura del re e della sua corte.

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